Un nuovo simbolo per il Pd La ragione per la quale sembra essere andata in porto la vendita di Alitalia ad Etihad, che pure era stata anticipata dal governo Letta, è molto semplice. Al momento della trattativa con gli emirati, il governo Letta non era in grado di tagliare gli esuberi del personale che pure erano considerati indispensabili. 2000 lavoratori senza possibilità di cassa integrazione, solo una parte di quelli che saranno messi poi in mobilità in un secondo momento, era qualcosa di inconcepibile per il Pd prima dell’avvento di Renzi, quel partito che se la Camusso starnutiva era lì pronto a porgerle il fazzoletto. Caduto Letta, Renzi ha ingaggiato un braccio di ferro con la Cgil, ha stracciato i suoi fiancheggiatori alle elezioni europee, ha avuto la conferma ai ballottaggi di Perugia e Livorno e ora l’accordo con gli arabi si farà, addio alla Compagnia di bandiera. Certo la vicenda è dolorosa, e per la compagnia di bandiera e per i lavoratori che se ne vanno a casa, ma per una volta ha detto una cosa giusta l’amministratore del Torchio: se non si tagliavano duemila persone se ne licenziavano dodici mila. Il vero problema è semmai che Alitalia andava messa in vendita nel 2002 quando Berlusconi si inventò il fallimentare salvataggio dei nostri imprenditori, spalleggiato da autorità istituzionali della sua maggioranza. Un errore di valutazione gravissimo, fra quelli veri e letali commessi dal presidente di Forza Italia, a cui si sarebbe dovuto opporsi con forza. Perché come era evidente da subito, il piano Fenice non avrebbe portato a nulla e la gestione di una compagnia area dove i sindacati ed i partiti l’avevano fatta da padrone per anni, era oramai irrecuperabile senza uno strappo deciso. Lo compierà Renzi nove anni dopo e meno male, perché c’era il rischio che si trascinasse ancora questa situazione con l’irresolutezza dei Letta e dei Saccomanni, o chi per loro. Anche se la vendita e la ristrutturazione di Alitalia è importante, nel computo della revisione della spesa che lo Stato deve compiere per non finire travolto, non è che un primo capitolo. Il secondo è quello della Rai, che richiede un intervento altrettanto drastico. Il taglio di 150 milioni preventivato dal governo è poco meno di un palliativo, ma comunque è un intervento rispetto a chi preferiva perdersi in chiacchiere. La Rai infatti va messa davanti a una scelta: rinunciare al canone o rinunciare alla pubblicità. Perché l’attuale situazione è insostenibile e si fa di tutto per ignorarlo, incluse il ridicolo timore di Berlusconi che è un competitore privato. La Rai non si può misurare su un competitore privato, ha un obbligo di rilievo formativo e culturale nel Paese e ogni volta che vediamo uno spettacolo preoccupato solo dell’audience, la Rai smarrisce il suo compito. Un problema a parte è che nonostante nell’Azienda ci si preoccupi principalmente dell’audience la programmazione della Rai nemmeno riesce a farne uno buono e si trova regolarmente sovrastata o quasi. Per cui va ripensato tutto il modello, in fretta e senza preoccuparsi di cosa pensa il signor Floris che manco si è accorto come il duopolio sia finito ai tempi in cui l’onorevole oscar Mammì era al governo. Rai ed Alitalia, al posto di falce e martello. Renzi ha finalmente dato un nuovo simbolo ed un nuovo inizio alla sinistra italiana. Roma, 10 giugno 2014 |